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Autore: Petitpierre

Finalmente Online

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Ddl civile, sì del Senato: «Riforma epocale». Ma i dubbi rimangono.

Primo sì alla riforma del processo civile, con la fiducia votata ieri dal Senato sul maxiemendamento. Il governo ha incassato 201 sì e 30 no portando a casa il primo dei quattro voti di fiducia che terranno impegnate le Camere in 48 ore, tra i quali quello previsto oggi, sempre al Senato, sul ddl penale, blindato dopo il doppio voto di fiducia alla Camera e quello sul Green pass.

Nonostante il sì, non sono mancate, in Aula – dov’era presente anche la ministra Marta Cartabia – critiche al ddl. E i nodi sono sempre quelli evidenziati dal Consiglio nazionale forense, che nei giorni scorsi ha bocciato la scelta di “riesumare” il vecchio rito societario, nonché quella di porre la fiducia, impedendo così un dibattito su un tema così delicato. Critiche che non sono venute soltanto dalla minoranza, ma anche da chi, come Julia Unterberger (Svp), del ddl è stata relatrice. I dubbi riguardano ancora una volta le scelte fatte sul rito, in particolare sul sistema di preclusioni e decadenze. Unterberger, pur parlando di «una riforma epocale del processo civile», indicando nelle modifiche al diritto processuale della famiglia la parte migliore, ha evidenziato il rischio di una lesione del diritto di difesa. E ciò in quanto viene previsto un sistema di preclusioni che vale «per le parti e i loro avvocati, ma non per i giudici». «Su questo punto si è presa una strada sbagliata – ha sottolineato -. Non si discuterà più su chi ha ragione e chi ha torto ma su chi ha rispettato i termini e chi no».

A dare ragione all’avvocatura anche Alberto Balboni, di Fratelli d’Italia, che annunciando il no alla fiducia ha definito «incostituzionale» la riforma, denunciando «la compressione dei diritti delle parti» e la riproposizione tardiva del «fallimentare» rito societario, già abbandonato da tempo. «Tutta l’avvocatura italiana ha lanciato allarmi e appelli – ha aggiunto -, tutti da voi disattesi, per fare presente il serio rischio che questa riforma provochi un allungamento dei tempi del processo, visto che anziché intervenire sul momento della decisione, dove si concentrano le vere lungaggini, si concentra sulla fase introduttiva, allungandone schizofrenicamente proprio quei tempi che vorrebbe abbreviare e senza mai prevedere conseguenze per il giudice». Per Balboni, dunque, la filosofia di fondo è quella di «punire» i cittadini che decidono di rivolgersi al giudice per far valere i propri diritti, attraverso «un processo pieno di formalismi, veri e propri trabocchetti che penalizzeranno sempre di più proprio la parte più debole e indifesa».

Soddisfatta, invece, la vicepresidente del Senato, la dem Anna Rossomando (anche lei relatrice del ddl). «Abbattimento del pregresso, riduzione dei tempi dei processi, tribunale della famiglia e lettura della violenza domestica sono gli aspetti fondamentali della riforma del processo civile, insieme a risorse, innovazione e organizzazione – ha sottolineato -. Il Parlamento è stato in grado di dare una svolta a una delle riforme più attese dal sistema di impresa e dai cittadini, oltre che precondizione per l’ottenimento dei fondi del Pnrr. Il nostro impegno ha riguardato in particolare l’ufficio del processo come misura strutturale, mentre già sono state avviate le 16mila assunzioni e l’ampliamento del ricorso ai riti alternativi contestualmente al ricorso agli incentivi fiscali così da non discriminare cittadini e imprese in base alle possibilità economiche. Sul fronte del diritto di famiglia si introduce una novità sostanziale con la creazione del tribunale e si punta un faro sulla violenza familiare con il rafforzamento della tutela del minore. Queste novità su cui abbiamo lavorato insieme a maggioranza e Governo ci portano a dare un giudizio positivo sulla riforma».

A far discutere, in apertura di seduta, è stato il voto di fiducia sul ddl penale calendarizzato oggi, nonostante ieri la Commissione Giustizia al Senato stesse ancora lavorando sugli emendamenti. A chiedere una modifica del calendario è stato il senatore di “L’Alternativa c’è” Mattia Crucioli, che ha definito «impossibile» votare con così poco tempo a disposizione. «In Commissione l’esame degli emendamenti è iniziato oggi, il calendario ci impedisce la possibilità di votarli, e sono tantissimi perché la riforma modifica profondamente il processo penale. Fare una riforma del genere, che non ha l’urgenza di un decreto, senza poterla discutere, è profondamente antidemocratico». L’Aula si è però espressa negativamente, scatenando la protesta dei senatori di Ac, che hanno esposto cartelli con su scritto «Impunità di Stato» e «La mafia vi ringrazia». La protesta si è poi spostata nella sala Koch, dove si sta riunendo la Commissione Giustizia, dove i senatori hanno improvvisato un’occupazione. «Impedire alle opposizioni di discutere e votare gli emendamenti in commissione – si legge in un comunicato stampa – , anche su provvedimenti per i quali non sono previsti termini di scadenza per la conversione di decreti urgenti e che non sono connessi all’emergenza sanitaria, è ingiustificabile. La gravità di quanto sta accadendo risulta ancora più evidente se si rammenta che la norma in questione riformerà in senso peggiorativo la giustizia penale, sancendo l’impunità anche per reati gravissimi e nonostante l’eventuale condanna in primo grado, non appena scatti l’improcedibilità per decorrenza dei termini in appello o in cassazione; e metterà fine all’autonomia delle Procure, imponendo ai pubblici ministeri di sottostare a criteri di priorità sulle indagini dettati dalla politica».

Ma a protestare sono stati anche i senatori di Fratelli d’Italia, che hanno lamentato un esautoramento del Parlamento. «Il problema più grande – ha sottolineato Luca Ciriani – è l’azzeramento del ruolo del Parlamento e del Senato. Qualcuno dovrebbe avere la dignità di alzarsi e dire che così non si può andare avanti. Abbiamo stabilito un record nella storia della Repubblica: quattro fiducie in 48 ore. Il ruolo del Parlamento qual è? A cosa serve intervenire e discutere se il governo sempre e sistematicamente pone la fiducia su tutti i provvedimenti? Le fiducie non vengono messe neanche più in seconda battuta, dopo la discussione in una Camera, ma siamo alla fiducia generalizzata costante, sempre, sui decreti, sui ddl delega, ovunque. Se poi il Parlamento chiede di poter discutere e i tempi non ci sono perché il governo mette fretta, o se i senatori hanno l’ardire di presentare degli emendamenti, le Commissioni vengono convocate all’una di notte e alle 5 di mattina per stroncare ogni possibilità di discussione». Per Ciriani «non è più un Parlamento democratico quello che sistematicamente impedisce ogni tentativo di confronto o discussione. Meglio chiuderlo il Senato a questo punto».

Il Green Pass rispetta la privacy sanitaria

Consiglio di Stato: il sistema di verifica non rende noto ai terzi il motivo per cui il certificato è stato emesso (vaccino o attestato di negatività al virus).

La III Sezione del Consiglio di Stato in sede cautelare, con l’ordinanza 17 settembre 2021, n. 5130 (testo in calce), rigettando l’appello contro il provvedimento cautelare già emesso dal Tar, ha rinforzato la validità dei certificati verdi (Green pass), evidenziandone l’assenza di rischi per la riservatezza sanitaria. Infatti, tenendo in considerazione l’opzione, per il singolo cittadino, di non immunizzarsi, trova prevalenza l’interesse pubblico.

La vicenda: In primo grado quattro individui hanno impugnato il d.P.C.M. 17 giugno 2021, contenente le disposizioni attuative dell’art. 9, c. 10, del d.l. n. 52/2021, relative al sistema di prevenzione, contenimento e controllo sanitario dell’infezione SARS-CoV-2, tramite l’impiego della certificazione verde, chiedendone l’integrale sospensione dell’efficacia. I ricorrenti hanno lamentano la lesione del loro diritto alla riservatezza sanitaria, il rischio di discriminazioni nello svolgimento di attività condizionate al possesso della certificazione verde, nonché il pregiudizio economico derivante dalla necessità di sottoporsi a frequenti tamponi. Gli stessi hanno sostenuto il contrasto dell’impugnato DPCM, nonché della normativa primaria su cui esso si basa, con la disciplina dell’UE e con la Costituzione italiana, con particolare riferimento alla protezione dei dati personali sanitari.

Il cautelare di secondo grado: Il Consiglio di Stato, con l’ordinanza in disamina, ha confermato la pronuncia cautelare di rigetto, adottata in primo grado. Gli appellanti si sono dichiarati contrari alla somministrazione del vaccino, nel pieno esercizio dei loro diritti di libera autodeterminazione, tuttavia, ha spiegato il collegio, non subiscono lesioni del diritto alla riservatezza sanitaria in ordine alla scelta compiuta, dal momento che l’attuale sistema di verifica del possesso della certificazione verde non sembra rendere conoscibili ai terzi il concreto presupposto dell’ottenuta certificazione.

Il contenuto del DPCM impugnato: Per lo stesso collegio amministrativo, il D.P.C.M. impugnato ha ad oggetto la definizione degli aspetti di regolamentazione tecnica del Green pass, rimanendo al medesimo estranei, invece, i contenuti regolatori, inerenti alle attività sociali, economiche e lavorative realizzabili dai soggetti vaccinati, o in possesso di un’attestazione di “negatività” al virus, cui gli appellanti riconducono i lamentati effetti discriminatori: contenuti che sono propri di atti aventi forza di legge, la cognizione della cui compatibilità, costituzionale ed unionale, non potrebbe essere devoluta al giudice amministrativo adito in sede cautelare, nemmeno al fine di investire delle relative questioni i Giudici (costituzionale ed europeo) competenti, e fermi restando gli ulteriori approfondimenti che il giudice di primo grado svolgerà in fase di merito.

Il periculum in mora: Con riferimento al periculum in mora, inteso a soppesare il danno lamentato dai richiedenti, e l’interesse che l’Amministrazione ha inteso perseguire mediante il provvedimento impugnato, il collegio ha evidenziato che il depotenziamento degli strumenti (quali, appunto, quello incentrato sull’utilizzo del Green pass) destinati ad operare in modo coordinato, anche al fine di garantirne l’efficacia sul piano della regolazione delle interazioni sociali (con particolare riguardo ai contatti tra soggetti vaccinati, o altrimenti immunizzati, e soggetti non vaccinati), con la campagna vaccinale in corso, il quale non potrebbe non conseguire all’accoglimento della proposta domanda cautelare, determinerebbe un vuoto regolativo precursore di conseguenze non prevedibili sul piano della salvaguardia della salute dei cittadini, la grande maggioranza dei quali, nondimeno, ha aderito alla proposta vaccinale e, per l’effetto, ha ottenuto la certificazione verde.

Afghanistan, Masi: «Dove le donne perdono i diritti non può esserci democrazia»

 La grande crisi umanitaria ancora prima che politica che sta vivendo l’Afghamistan in questo tempo ha, con un grande impatto, riproposto al mondo una realtà che non si può ignorare e che non può lasciare indifferenti. Non è necessario, anche se sarebbe certamente utile per una migliore comprensione, approfondire le dinamiche che hanno provocato la situazione attuale il quale vede coinvolti migliaia di civili vanamente impegnati ad opporre resistenza al rinnovato sistema che, al di la delle dichiarate rassicurazioni circa l’assolvimento degli impegni contenuti negli accordi di cooperazione internazionali, pongono inquietanti interrogativi.

Cosa ne sarà, ad esempio, delle conquiste in tema di riconoscimento e valorizzazione dei diritti umani faticosamente maturati nel difficile contesto degli esiti di un conflitto che per decenni, ha lacerato il Paese. Tra le “faticate conquiste” che oggi rischiano di essere vanificate vi è certamente l’investimento embrionale nel talento e nel potenziale delle donne afgane, protagoniste coraggiose della promozione della giustizia nel loro Paese. In questo percorso lungo e difficile, l’emancipazione delle donne afgane è stata immaginata sia come strumento che come meta e auspicata come indispensabile per la crescita del Paese e per la realizzazione di un sistema adeguato e sostenibile.

Dai rapporti e dalle relazioni realizzati e acquisiti dagli osservatori internazionali emergono tutte le grandi difficoltà che in particolare le donne hanno dovuto affrontare e superare per accedere alle libere professioni e alla vita pubblica. Ancora maggiori e numerose sono state le difficoltà per le donne per poter accedere al sistema giustizia che, inizialmente, vedeva  numeri veramente esigui di donne funzionarie amministrative, magistrate o avvocate. Eppure qualcosa in questi lunghi anni era cambiato, forse per una maturanda consapevolezza che il  ruolo delle donne era ed è fondamentale per la promozione di azioni volte a rimuovere ostacoli all’accesso alla giustizia, alla promozione dei diritti umani e all’uguaglianza.

Tale percorso oggi è interrotto e potrebbe essere cancellato ma ciò che conforta è che c’è diffusa e piena consapevolezza del grande rischio che oggi corrono non solo le donne, le professioniste, le intellettuali, le magistrate e le avvocate afgane ma finalmente si comincia a comprendere che qualsiasi atto contro una donna, posto in essere a qualsiasi latitudine o contesto, in nome di una (in)cultura fondata sulla/e discriminazione/i di genere è un atto contro la democrazia. Forti di questa consapevolezza e del fatto che spetterà soprattutto agli avvocati e alle avvocate afgane resistere per esistere e difendere il diritto di donne, bambini e di ogni minoranza, il Cnf e l’ avvocatura istituzionale, con l’ausilio delle commissioni consiliari di riferimento, si impegna a fare rete, recependo e veicolando anche le iniziative dei coa, dei cpo, delle associazioni e dei singoli avvocati e avvocate che numerosi in queste ore stanno mettendo a disposizione passione e competenza.

Il tutto realizzando iniziative, alcune già in corso, per la salvaguardia dei diritti delle categorie a rischio nonché sollecitando le autorità competenti affinché venga attuata un’adeguata attività di monitoraggio sul rispetto delle convenzioni internazionali e, in sinergia con il Consiglio degli ordini forensi europei (Ccbe) e l’Osservatorio internazionale avvocati in pericolo (Oiad), promuovendo azioni umanitarie finalizzate a conferire aiuti concreti e sostegno mirato a realizzare condizioni ambientali di sicurezza.